L'ESPERIENZA GADA RACCONTATA SU ASPIC NEWS!




Riportiamo di seguito l'articolo, relativo all'esperienza del gruppo G.A.D.A, uscito all'interno della pubblicazione Aspic News n°9/2013. 
Cogliamo l'occasione per ringraziare di cuore quelle partecipanti che hanno voluto contribuire con le loro testimonianze dirette. Buona lettura!


Imparare ad amarsi attraverso  un gruppo: G.A.D.A. per sconfiggere la dipendenza affettiva

A cura di Michaela Sbarra e Anca Mihaela Ardelean
Counselor ed helper del gruppo G.AD.A.

“Ognuno di noi è munito di risorse che ci consentono di allontanarci da ciò che ci fa stare male. Certo il processo è spesso difficile e doloroso, ma ha come obiettivo non la promessa, ma la certezza di soffrire meno e di stare meglio, di vivere una vita più ricca e più varia, in cui non ci saranno soltanto l'altro e la relazione d'amore che si ha con lui, ma moltri altri punti di riferimento".
François Xavier Poudat


Premessa: maldamore o dipendenza affettiva?

La dipendenza da una figura di attaccamento (il partner per gli adulti, solitamente) è necessaria e funzionale alla relazione, purché si mantenga entro certi limiti
L’instaurarsi di una normale dipendenza, non solo è inevitabile, ma comporta anche un correlato biologico: la presenza dell’amato influenza la nostra pressione sanguinea, il battito cardiaco, la respirazione e il livello di ormoni nel sangue (Levine, Heller, 2013).
Non è però così immediato percepire il limite che intercorre tra una fisiologica dipendenza dal proprio partner ed una dipendenza eccessiva, disfunzionale  e pericolosa.
Afferma a tal proposito infatti François-Xavier Poudat (2006,p.6):

 “E’ chiaro che quando si parla di sentimenti o si sessualità, il margine che intercorre tra il normale e il patologico è molto sottile. Per certi versi e fino ad un certo punto siamo tutti dipendenti dall’altro (lo amiamo!), dalla storia che abbiamo con lui (ci teniamo!) o dal piacere che apporta alla nostra vita sessuale (ne abbiamo bisogno!). Ciò detto, malgrado questi legami di dipendenza siamo ancora in grado di vivere per noi stessi, di avere altre sfere di interesse, di svolgere altre attività. I veri dipendenti, invece, non hanno più questa libertà: nel loro caso la relazione a due o la sessualità sono diventate letteralmente vitali, non possono più farne a meno, ne hanno bisogno in maniera ossessiva per colmare la solitudine, per calmare l’angoscia, per riempire un vuoto, per non affondare”. 

Nell’attaccamento adulto vengono riproposte le stesse modalità sperimentate da bambini con il proprio caregiver, e se tale rapporto non è stato sufficientemente sicuro, non lo saranno nemmeno i rapporti affettivi che verranno instaurati da adulti (Attili, 2004).
Un rapporto d’amore funzionale e sano si distingue da uno dipendente in quanto in esso a prevalere è il desiderio dell’altro e non il disperato bisogno, Giusti dice (2007, p.78): 

“Amare significa essenzialmente dare. Per poter donare se stesi occorre che ci sia un Sé da offrire e una matura consapevolezza di esso, perché soltanto un Sé autonomo, libero e chiaro, può essere contemporaneamente individualista e altruista. [...] Esistono diversi tipi di dipendenza camuffata da amore, e relazioni di scambio fondate sulla necessità, ma neanche queste sono amore autentico, profondo, spontaneo, poiché questo è legato alla capacità di essere autonomi, quindi non vincola ma è liberatore” .

La scoperta della dipendenza affettiva

Fu Robin Nordwood, con il suo bestseller Donne che amano troppo, edito a metà degli anni '80, a portare alla ribalta il fenomeno della love-addiction.
Poco dopo, nel 1989, uscì un interessante testo di Susan Peabody, intitolato Addiction to love, in cui veniva riportata la sua esperienza diretta come counselor in gruppi di recupero per co-dipendenti (persone legate a partner affetti da dipendenza da alcol, droga ecc..).
Questi libri, che divennero ben presto dei veri bestseller, innescarono un cambiamento significativo nella percezione del fenomeno della sofferenza d’amore: ciò che prima veniva identificato come un generico e poco allarmante mal d'amore venne per la prima volta scandagliato nelle sue dinamiche più perverse ed autolesive. Da quel momento in poi la letteratura sull’argomento si moltiplicò a dismisura ed il fenomeno della dipendenza affettiva venne finalmente percepito come un disagio intenso e diffuso a cui occorreva far fronte, un disagio oggi ampliamento trattato dalla comunità scientifica internazionale. 
La Dipendenza Affettiva rientra infatti nella più ampia categoria delle New Addictions (Nuove Dipendenze), che comprendono tutte quelle forme di dipendenza in cui non è implicato l’intervento di alcuna sostanza chimica (droga, alcol, farmaci, ecc.), ma l'oggetto della dipendenza è rappresentato da comportamenti o attività che sono parte integrante della vita quotidiana (Guerreschi, 2005).

La dipendenza affettiva: conosciamola meglio

La dipendenza affettiva o love addiction è un fenomeno decisamente complesso, si declina infatti in molteplici forme: dipendenza dalla persona, dipendenza dalla relazione, dipendenza dal bisogno di sedurre, codipendenza, ecc...  
Essere dipendente affettivo significa non essere in grado di autodeterminare il proprio benessere emotivo, che appunto dipende da qualcun altro; non necessariamente un partner, come si è di solito pensati a credere: è possibile infatti sviluppare una dipendenza affettiva anche nei confronti di un figlio, di un genitore, o di un amico (Peabody, 1989). 
La dipendenza affettiva priva della libertà di essere autentici e spontanei e causa l’assunzione di un comportamento fortemente condizionato, caratterizzato da un altissimo livello di ansia, da un costante bisogno di controllo sulla persona oggetto d’amore, e soprattutto, da una terribile paura dell’abbandono, che spinge a sopportare qualsiasi tipo di trascuratezza, abuso o maltrattamento.                                                                                      
Il “rapporto d’amore”, quindi,  viene vissuto come condizione stessa della propria esistenza.  Le persone dipendenti vedono nell’altro la fonte di ogni benessere e, pur di non rischiare di perdere l’oggetto amato, sono disposte a sacrificare qualsiasi bisogno o desiderio personale, fino al punto di annullare il proprio sé.                                                                                            
Queste persone passano la loro vita a mendicare l’affetto dell’altro che idealizzano, per poter sopprimere così i propri sentimenti di inadeguatezza, vuoto, ansia, impotenza, scarsa autostima, non amabilità.                                                                                                          Si definisce appunto “dipendenza” affettiva per sottolineare il fatto che, proprio come per le dipendenze da sostanze (ad es., droga, alcol, tabacco), il soggetto non può rinunciare (pena “la crisi d’astinenza”) all’oggetto amato, ma anzi, con il passare del tempo, richiede “dosi” di presenza o vicinanza sempre maggiori.  
Anthony Giddens (1995) distingue a tal proposito tre principali caratteristiche della love addiction, connotandola come una vera e propria forma di dipendenza:

- l'ebbrezza: la sensazione di piacere, che il dipendente prova quando è con il partner, gli è indispensabile per stare bene e non riesce ad ottenerla in altri modi;
- la tolleranza: il dipendente ricerca quantità di tempo sempre maggiori da dedicare al partner, riducendo sempre di più la propria autonomia e le relazioni con gli altri;
- l'astinenza: l'assenza del partner getta il dipendente in uno stato di allarme. Talvolta il bisogno della presenza fisica dell'altro è talmente forte che il dipendente sente di esistere solo quando il partner gli è vicino. Il partner infatti è visto come l'unica fonte di gratificazione, le attività quotidiane sono trascurate e l'unica cosa importante è il tempo che si trascorre insieme.

Questo assoluto bisogno è potenzialmente molto pericoloso, perchè può portare a tollerare qualsiasi forma di abuso, di natura fisica e/o psicologica.

Tratti tipici di un dipendente affettivo

Esistono una serie di pensieri, comportamenti ed emozioni che caratterizzano dipendenti affettivi di diversi tipi (Ghezzani, 2006):

Paura di essere inadeguati a meritare o mantenere un importante legame affettivo.
Senso generale di disistima in se stessi
Idealizzazione della persona amata, la cui sola vicinanza è in grado di fornire benessere al dipendente.
Sottomissione caratteriale e tolleranza verso gli aspetti “negativi” della persona amata.
Riduzione progressiva dei contatti affettivi e sociali a favore del rapporto di dipendenza.
Dolore angoscioso ad ogni separazione o possibile abbandono.
Tendenza ad assumersi le colpe nelle crisi di rapporto.

Le origini della dipendenza affettiva

La dipendenza d’amore affonda le sue radici nell’infanzia di quelle persone i cui bisogni d’amore, affetto ed accudimento sono stati frustrati. Nella relazione con le figure significative il bambino impara, attraverso le cure e la sensibilità dell’altro, che egli è una persona degna d’amore: ed è questo sentimento, che in genere lo accompagna per tutta la vita, a nutrire il suo amor proprio e la  sua fiducia verso se stessi e gli altri. Mentre il maschio di solito reagisce ad un’eventuale carenza di attenzioni rispetto ai suoi bisogni emotivi, diventando collerico e sviluppando un comportamento distruttivo e attaccabrighe, la femmina tende a compensare queste frustrazioni prendendosi cura di qualcuno o di qualcosa che è in situazione di bisogno: in questo modo alleviando la sofferenza dell'altro, cerca di lenire la propria (Nordwood, 1985). Statisticamente la dipendenza affettiva interessa in netta maggioranza le donne, al punto da stimare che il fenomeno sia al 99% diffuso  tra queste ultime (Miller, 1994). Tuttavia quella maschile, pur essendo assai più rara, può sfociare in fenomeni come stalking, violenza, e nei casi più gravi anche femminicidio.                                                                                           
Coloro che sviluppano la dipendenza affettiva non hanno introiettato il sentimento di amore di sé, ma al contrario, si sono convinte che i loro bisogni non contano, o che non sono degne di essere amate. Inoltre molte di queste persone hanno una storia infantile di maltrattamenti fisici e psicologici, spesso sono state vittime di abusi sessuali; eventi altamente traumatici che non sono riuscite ad elaborare da sole (Gainotti, S. Pallin, 2011).

G.A.D.A: diversi stimoli, un'idea      

L’idea di dar vita a quello che poi si sarebbe chiamato G.A.D.A. - Gruppo di Autoaiuto sulla Dipendenza Affettiva - nasce dall’unione sincronica di tre elementi: il confronto rispetto alle nostre personali esperienze di vita, la lettura di un libro (Donne che amano troppo) e una lezione sui gruppi di autoaiuto tenuta dalla dott.ssa Florinda Barbuto, nel corso del Master triennale in Gestalt Counseling.            
Dopo un iniziale rodaggio con colleghe ed amiche, attraverso una serie di incontri alla pari, in cui noi stesse ci siamo sperimentate come membri del gruppo, ci siamo impegnate in questa avventura, dando vita dopo qualche mese, ad un vero e proprio gruppo di autoaiuto.                                       
Per far conoscere questa iniziativa abbiamo creato un blog, un gruppo facebook e una minima quantità  locandine, che sono state affisse in luoghi di ritrovo o in esercizi commerciali.                                                                                    
Il gruppo G.A.D.A. ci vede impegnate nel ruolo di helper (agevolatore della comunicazione) e si rifà ai parametri e alle regole suggerite dalla Nordwoord nel suo celeberrimo libro.                                                         
A seguito di una ricerca on line ci siamo rese conto che, seppur esistevano 
diverse proposte per questa specifica problematica (gruppi tematici di terapia, gruppi di counseling, gruppi di autoaiuto) nessuna di queste era gratuita. A noi piaceva invece l’idea di lavorare come volontarie, offrendo in tal modo il nostro piccolo contributo a chi si trovava a fare i conti con questa dolorosa condizione: un sostegno rivolto a tutti quindi, anche a coloro che magari erano impossibilitati ad accedere ad un servizio a pagamento.                                                                                               La nostra iniziativa è stata sostenuta dalla dott.ssa Claudia Montanari ed ad oggi è ospitata preso la sede Aspic di Viale Leonardo da Vinci, essendo stata inserita nel carnet dei servizi inclusi nella tessera associativa.

I gruppi di autoaiuto  
                                                                                  
I gruppi di autoaiuto sono un fenomeno esistente da svariati decenni nei paesi anglosassoni e si vanno sempre più diffondendo anche in Italia.
Un gruppo può nascere in risposta a diverse problematiche (malattia, lutto, fobie, ansia, dipendenze di vario genere, ecc.).
L'obiettivo è sempre il sostegno emotivo attraverso la rottura dell'isolamento e la condivisione reciproca, con lo scopo di migliorare le capacità sia psicologiche che comportamentali dei partecipanti.
La condivisione e l’esplorazione sono i principi base che guidano questa esperienza attraverso la quale ognuno può riscoprire nell’altro le sue stesse difficoltà, venendo in contatto con percorsi nuovi da cui imparare a guardare le cose con occhi diversi.
L’interazione nel gruppo permette di acquisire nuovi strumenti conoscitivi che abilitano a leggere e ad interpretare i problemi in modo nuovo. 
Queste nuove abilità conoscitive, di interpretazione del reale incrementano la creatività e l’autonoma soluzione dei problemi, rendendo il soggetto sempre più efficace nelle strategie di coping legate al tema dipendenza affettiva. 
Un gruppo di autoaiuto regala accettazione e spazi di confronto: dà forza attraverso la creazione di una nuova autoconsapevolezza (Inama, 2002).


      L'helper nel gruppo G.A.D.A.   
                                                    
L'agevolatore o helper è a tutti gli effetti un membro del gruppo, con un percorso di terapia significativo alle spalle; ha seguito una specifica formazione (Master triennale in Gestalt Counseling) finalizzata a fornirgli gli strumenti di gestione della comunicazione.                                  
All'interno del gruppo G.A.D.A., l'helper è dunque un counselor, che svolge prevalentemente la funzione di facilitatore della comunicazione tra i partecipanti e lo fa su base volontaria. Anche l'helper in passato ha affrontato e sconfitto la stessa problematica degli altri partecipanti e porta la sua testimonianza personale di recupero per crescere insieme al gruppo.

La struttura del gruppo      
                                                             
G.A.D.A., così come è organizzato oggi, ha preso il via a gennaio 2012
Il gruppo ha cadenza bimensile; gli incontri si tengono il mercoledì e durano due ore, dalle 20.30 alle 22.30.                                                    
Per accedervi è richiesto un colloquio conoscitivo preliminare con una delle due helper. Si tratta di un incontro volto alla reciproca conoscenza e alla valutazione della compatibilità del richiedente con questo tipo di percorso. Il numero massimo previsto è di 12 partecipanti; per usufruire del servizio gli utenti sono tenuti ad effettuare il tesseramento associativo Aspic (€ 65,00).                                                                                                   
Il gruppo è aperto: è possibile cioè entrare ed uscire in qulasiasi periodo dell’anno, e non è previsto un numero massimo di assenze.                                 
Al momento il gruppo è composto da sole donne, tuttavia la partecipazione maschile non solo è consentita, ma è da noi fortemente desiderata, proprio perchè siamo convinte che la differenza e la moltiplicità di vedute non possa che essere altamente arricchente per il gruppo.

Testimonianze dirette 
                                                                      
Nell’ideare questo nostro contributo, abbiamo pensato di aggiungere a corredo delle nozioni teoriche precedentemente espresse, alcune testimonianze dirette delle partecipanti al gruppo G.AD.A.                     
Alcune di loro sono “storiche”, presenti cioè fin dal primo incontro, altre appena arrivate. Questa diversa “anzianità” di partecipazione consente, secondo noi, di offrire un panorama ancora più ricco e articolato.                                Abbiamo deciso di riportare integralmente i loro scritti, così come ci sono perveuti. Sono state rivolte loro tre domande stimolo, lasciandole poi a loro la scelta di rispondere ad esse, o di sviluppare liberamente le proprie considerazioni sull’argomento.                                                                                         
Le domande guida, rivolte loro via email, erano le seguenti:


  • Che cosa ti ha spinto a cercare un gruppo di autoaiuto per la dipendenza affettiva?
  • Ci sono stati dei benefici derivanti da quest'esperienza? 
  • Hai notato delle differenze tra questo tipo di percorso ed eventuali altri svolti in precedenza (psicoterapia/counseling individuale o di gruppo)?

Riportiamo di seguito le risposte di coloro che hanno accettato il nostro invito a  condividere la loro esperienza, ringraziandole vivamente:


BUTTERFLY

Sono arrivata al gruppo dopo una serie di naufragi sentimentali, una semi storia e due relazioni anaffettive, ma soprattutto distruttive, dove l’unica che costruiva ero io, l’unica che amava, solo io. L’ultima di queste storie – al  momento – la sto ancora vivendo, ma siamo probabilmente agli sgoccioli, anche se non è stata detta ancora la parola fine. E tra i due, purtroppo, sembra debba essere io a dirla. Per questo dopo diversi mesi di esitazione, nel cercare da sola di colmare il vuoto che la disperazione mi procurava e l’incapacità di troncare questo rapporto insano, ho cercato un gruppo di auto aiuto. Il suggerimento è arrivato attraverso delle letture di tipo psicologico che facevo nel tentativo di lenire il mio dolore. Quando mi sono resa conto che altre donne soffrivano, come soffrivo io, e che si poteva dare un nome a quel malessere e che c’era una possibilità di uscirne, ho cercato un gruppo, mi sono fatta forza e ho contattato GADA. I primi segnali di benessere sono stati quasi immediati, ma me ne sono resa conto solo dopo qualche mese, quando si è aggiunta al gruppo un’altra persona, che piangeva angosciata, come se avesse avuto un muro davanti il suo percorso e io ho pensato: “Anche io mi sentivo così poco 
tempo fa… poco tempo fa, ed ora? No. Il muro davanti non lo vedo più, vedo delle possibilità, delle strade”. Certo, la mia volontà deve essere l’artefice delle scelte di quelle possibilità e di quelle strade, volontà che ora è ancora debole, ma il muro non c’è più. E dopo poco tempo quella stessa persona aveva una luce dentro che già faceva capire che anche lei era andata oltre.
Con il gruppo sto cercando anche di affrontare questa solitudine, di percepire, piuttosto, una rete che mi può trattenere nella caduta, che impedisca alla paura di decidere e che mi dia prima o poi il coraggio di fare le mie scelte. Sto imparando, anche attraverso il confronto, a definire il mio male d’amore e proiettare verso di me quell’energia che sto usando male, attraverso l’attaccamento eccessivo verso una persona, nella speranza di ricostruire me stessa, pensare ai miei bisogni e ai miei desideri, staccandoli dall’idea di poter così perdere l’altro. Mi chiedo qual è il senso di questo sentirmi sola, poiché non mi sono sentita mai così tanto sola come da quando c’è un uomo che amo 
nella mia vita. 
Questo gruppo mi sta dando la capacità non solo di reagire ed eventualmente essere in grado di chiudere un rapporto non equilibrato, ma anche di affrontare questa relazione e comprendere i meccanismi di come e perché viene impostata una storia con questi presupposti, creando, attraverso questa comprensione, una possibilità di avere gli strumenti per costruire un rapporto sano.
Sono stata in un lunghissimo percorso di psicoterapia individuale molto tempo fa. Ne sono uscita rinforzata per certi versi, ma allo stesso tempo esausta per il lungo e travagliato lavoro fatto e con il dubbio latente che fossi semplicemente “malata”. Il confronto con altre donne che hanno avuto o hanno il mio stesso problema, non mi fa sentire appiccicata addosso quella brutta definizione di “diversa”, che invece la psicoterapia mi dava. Non mi fa sentire giudicata. Vedere poi, nella speranza di chi ce l’ha fatta, una strada aperta anche per me, mi da il coraggio di procedere con fiducia. Certo le cadute sono per ora tante e la forza di dire “basta” è costantemente attaccata dalla paura di restare sola. Ma penso che si possa uscire da questo buio, anche se mi faccio la domanda: 
”Quanto manca?”

BRUNELLA

“Che cosa ti ha spinto a cercare un gruppo di autoaiuto per la dipendenza affettiva?
Uno stato di malessere profondo dovuto a un abbandono e la consapevolezza che si trattasse di un copione che negli anni non era migliorato, né modificato. La lettura di libri sull'argomento. La sensazione che la psicoterapia, da sola, non sia sufficiente ad affrontare questo tipo di problematiche. La netta sensazione che certi tipi di malessere affettivo siano molto più simili all'alcolismo e ad altre dipendenze di quanto si possa immaginare, e come le altre dipendenze vanno trattati.
2. Ci sono stati dei benefici derivanti da quest'esperienza?
Grandissimi. Un'accelerazione della guarigione e della ripresa del benessere. Un processo che procede per salti improvvisi.
3. Hai notato delle differenze tra questo tipo di percorso ed eventuali altri svolti in precedenza (psicoterapia/counseling individuale o di gruppo)?
Nonostante l'impressione che il lavoro si svolga solo in superficie, a differenza delle psicoterapie fatte in precedenza, tuttavia l'effetto di risonanza di ciascun incontro amplifica il lavoro e mette in connessione una serie di cognizioni, oltre ad aumentare l'autostima. A volte, infatti, anche col proprio terapista, si ha pudore o vergogna a raccontare di alcuni episodi o la sensazione di star raccontando per l'ennesima volta la stessa vicenda. Il gruppo permette di superare questo pudore e questa reticenza. Il lato negativo esiste comunque e può essere una certa teatralità espressiva o una ricerca di protagonismo, ma credo che anche questo sia un passaggio intermedio nella comprensione del problema della dipendenza affettiva”.

FATA

“Ho cercato il gruppo di auto aiuto perchè stavo molto male... ero già in cura da una psicologa e sotto cura farmacologica per una depressione dovuta alla fine della storia con il "poraccio", così definirei il tipo che ha rovinato almeno 3 anni della mia vita..
Appena ho fatto i primi colloqui per entrare al gruppo mi sono sentita subito accolta e compresa. Mi suggerivano di scrivere su un diario i miei pensieri, dolori, paure e mi "forzavano" a fare qualcosa per me, ad uscire, vedere gente...insomma tornare a vivere... Allìinizio ammetto che sia stata dura ma appena entrata nel gruppo ho iniziato a capire e sentire che non ero l'unica a provare questo disagio.. Un'amica ti ascolta, è vero ma non capisce mai fino in fondo quanto possa essere devastante il tuo dolore.. Col gruppo ho ricominciato a vivere per me, a sentire che esisto, a prendermi cura delle mie esigenze senza cmq calpestare il prossimo.. Ho trovato in gergo tecnico dei caregiver e delle amiche care che offrono il loro aiuto e la loro personale esperienza senza pretendere nulla in cambio..solo che io sia lì, pronta col mio contributo ad aiutare quelli che vengono dopo. E' migliore di 100 psicoterapie e di altrettanti psicofarmaci e soprattutto non nuoce alla salute... La dipendenza affettiva? Mi osserva ancora da dietro l'angolo, ogni tanto, ma la lascio lì...”


ALTEREGO

“Più che cercare questo gruppo, mi è capitato di venirne a conoscenza durante una lettura sul sito dell'Aspic dal momento che stavo cercando un aiuto, trovandomi in una situazione molto difficile con l'uomo che mi ha "colpita" al cuore più volte e che riesce a farmi sentire viva ma anche a farmi morire, della serie non riesco a stare nè senza di lui, nè con lui, perchè il nostro è un rapporto che mi tormenta, mi dà l'ebbrezza delle montagne russe. Man mano, anche documentandomi, ho capito di trovarmi in una totale dipendenza affettiva. E' stata come un'illuminazione. Era proprio di questo che avevo bisogno. Riuscire a confrontarmi con altre persone che come me vivevano lo stesso disagio.                       Da quando ho iniziato quest'esperienza mi sento più rassicurata, non mi sento più da sola con le mie paranoie ed il rapporto con quest'uomo è cambiato, cioè mi sento più forte mi prendo le mie libertà e i miei spazi senza sentirmi in colpa; riesco anche a mettere in discussione il rapporto quando mi sento sfidata o minacciata di un nuovo eventuale abbandono, che prima per evitarlo, mi faceva anche sopportare dolorose umiliazioni. Anzi devo dire che questa mia nuova forza forse percepita anche da lui, ha fatto in modo che gli abbandoni siano quasi spariti.                                                                                         
La differenza con altri approcci terapeutici è indubbiamente quella di sentirsi capiti, si crea una sorta di unione e solidarietà, come se ognuno di noi trovasse quel filo che in qualche modo riesce a legarci. Chissà, forse perchè l'UNIONE FA LA FORZA!!! Ciao. Alterego”.


        TOKYAMA 



“Ho scelto questo percorso perche' dopo due anni dalla fine della storia sentimentale piu' importante che ho vissuto nella mia vita non riuscivo ad andare avanti. Ho trovato un ascolto profondo senza giudizio e una grande accoglienza tra le donne che hanno gia' vissuto una dipendenza affettiva e altre che vivevano come me appese ad una storia del passato.


       VERONICA

“Io ho trovato questo gruppo cercando su internet,in questo momento cosi pesante per me in cui i miei pensieri ossessivi su una persona che sono stata costretta lasciare sono diventati galoppanti sono peggiorata da questo punto di vista sono in psicoterapia e per la prima volta mi sono rivolta anche allo psichiatra perchè le mie ossessioni non mi danno tregua, fino adesso ho avuto il piacere di un solo incontro con il gruppo e mi sono trovata bene c'era una bella atmosfera calda ed accogliente”.

Propositi per il futuro 
                                                              
Il gruppo G.A.D.A. ha scaturito un interessamento anche da parte di alcuni colleghi counselor che operano in altre regioni, e che ci hanno chiesto informazioni rispetto al processo di start up di quest’iniziativa. Inoltre, soprattutto nel corso degli ultimi mesi, abbiamo ricevuto svariate email da persone residenti in altre città italiane che ci chiedevano se gruppi analoghi al nostro fossero presenti anche altrove.
A seguito di queste manifestazioni di apprezzamento e di interesse per questo tipo di servizio, abbiamo pensato di voler “esportare” il modello G.A.D.A. anche in altre località italiane. 
L’obiettivo sarebbe quello di creare una rete di supporto a livello nazionale, come ad esempio i centri antiviolenza.                                                                                              
Per dar vita ad un gruppo di autoaiuto come il nostro occorrono: counselor che si offrano come volontari, una sede gratuita e una formazione specifica sull'argomento. Quest’ultima può derivare dall'esperienza diretta o anche da uno studio approfondito di questo disagio; una preparazione necesassaria per comprendere i bisogni di un dipendente affettivo, nonchè le varie fasi che si trova a dover affrontare all’interno del suo processo di recupero.

Conclusioni     

A livello professionale questa esperienza, seppur impegnativa, si sta rivelando per noi altamente gratificante. Essere helper nel gruppo G.A.D.A. ci ha portato negli ultimi due anni a condurre studi specifici sull’ argomento e a lavorare in rete con alcuni colleghi counselor e con psicoterapeuti a cui vengono inviate le persone che intendono affiancare al percorso di gruppo anche un iter individuale. Inoltre, in quanto agevolatori, siamo ricorse in supervisione quando ciò si è reso necessario.                    A livello umano invece molti sono le emozioni che si avvicendano durante i nostri incontri: spesso una profonda tenerezza, a volte gioia per i progressi che ci vengono riportati, in altri casi si affaccia il dispiacere per le “ricadute”, e poi possono insorgere in noi dubbi, paure, incertezze. 
Sappiamo bene di non avere la risposta a tutte le loro domande, ma sappiamo anche di avere la voglia di accompagnarli durante il loro cammino verso il ben-essere.

Contatti    
                                                                                                         
Per informazioni e contatti è possibile telefonare al 347 3180872
o inviare un’e-mail a: gadabis@gmail.com
Potete visitare anche il nostro blog: http://dipendenzaffettivaroma.blogspot.it/ 
o il profilo facebook: Gada Autoaiuto


Bibliografia

ATTILI, G. (2004), Attaccamento e amore, Il Mulino, Bologna.
GAINOTTI, A.M., PALLINI,S., a cura di, (2011) La violenza domestica,  Edizioni Scientifiche Ma.Gi, Roma.
GHEZZANI, N. (2006), Quando l’amore è una schiavitù, Franco Angeli, Milano.
GIDDENS, A. (1995) La trasformazione dell’intimità, Il Mulino, Bologna.
GIUSTI E.(2007), Ritrovarsi prima di conoscere l’altro, Armando Editore, Roma.
INAMA, L. ( 2002), Liberarsi dal troppo amore, Erickson, Trento. 
LEVINE, A., HELLER, R. (2012), Dimmi come ami e ti dirò chi sei, TEA, Milano.
MILLER, D. (1994) Donne che si fanno male, Feltrinelli, Milano.
NORDWOOD, R. (2003) Donne che amano troppo, Feltrinelli, Milano.
PEABODY S. (1989) Addiction to Love, Celestial Art, Berkley.
POUDAT F.-X. (2006), La dipendenza amorosa, Castelvecchi, Roma. 
http://www.meridianamagazine.org/20121207/femminicidio-e-uxoricidio-in-campania-lanalisi/


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